“Che fine farà il giornale?” – La mia innovativa tesi di laurea del 2008

Era il 2007 – esattamente dieci anni fa – quando iniziai il mio lavoro di tesi di laurea. Dieci anni fa il mondo del giornalismo online non era sviluppato come adesso e dunque ancora non era possibile fare delle previsioni. Eppure, partendo da un’inchiesta di Philip Meyer sull’Economist del 24 agosto 2006 dal titolo «Who killed the newspaper?» – Chi ha ucciso il giornale? – ho realizzato, in collaborazione con la professoressa Maria Ermelinda Di Lieto, questa analisi dal titolo futuristico: “Webgiornalismi: dai mediasauri ai cybernauti”.

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L’autorevole settimanale londinese, infatti, parla della crisi dell’informazione su carta stampata, che sembrerebbe ormai in via di estinzione, citando Philip Meyer, uno dei più seri e competenti studiosi dell’editoria americana, secondo cui entro il 2043 i quotidiani cartacei esaleranno il loro ultimo respiro, a favore delle testate on line. Questa premonizione ha tutta l’aria di essere una provocazione: difficile, infatti, trovare qualche fondamento scientifico in tale affermazione.

L’attualità dell’argomento è sottolineata anche dalla ricerca effettuata dalla Carnegie Foundation di New York, una fondazione indipendente dalla politica che ha come scopo quello di collaborare con insegnanti, ricercatori, politici e organizzazioni attive nell’educazione per analizzare e sviluppare nuovi metodi che portino cambiamenti positivi nell’ambito educativo: nella ricerca intitolata Journalism’s Crisis of Confidence, si evince come i giornali americani perdano lettori ogni giorno che passa e questo causa a sua volta una perdita di fiducia nei quotidiani.

Una delle cause per cui sembra che i lettori non credano più ai giornali e di fatto se ne allontanano, secondo il Pew Research for the People and the Press Center, sarebbe l’alta concentrazione della proprietà dei media negli States. Basti pensare, infatti, che al giorno d’oggi solo sei grandi gruppi (Murdoch, GE, Time Warner, Disney, Viacom e Bertelsman) controllano la stragrande maggioranza dei canali d’informazione. In secondo luogo, l’eccesso di informazione. Nel 2000, secondo le stime dell’università di Berkeley, sono stati prodotti due quintilioni di bytes informazionali. Tanta informazione, ovviamente, scoraggia. Da qui, l’idea lanciata dall’Economist: differenziare il prodotto. Produrre un giornale tradizionale e uno per il web. Come a dire: perdere lettori da un lato e guadagnarli dall’altro.

Un po’ come proposto anche dall’editore del New York Times, Arthur Sulzberger Jr., che al giornale israeliano “Haaretz” ha dichiarato: “Non so davvero se fra cinque anni stamperemo ancora il Times e volete sapere una cosa? Neanche me ne importa. La cosa fondamentale – ha spiegato – è concentrarsi su quale sia il modo migliore per governare la transizione dalla carta stampata a Internet. La rete è un posto meraviglioso e su questo terreno noi siamo davanti a tutti”.

Che sia anche questa una provocazione o meno, non importa. Il concetto, chiaro, semplice e conciso, è questo: bisogna trovare nuove forme di sviluppo di trasmissione dell’informazione. Non importa con quale supporto si andrà avanti, la prospettiva fondamentale è che si continui a fornire informazione. In sostanza, si perdono lettori da un lato e se ne guadagnano dall’altro.

Di fatto, dunque, il giornalismo tradizionale trova nuove forme di sviluppo. Si reinventa. Si trasforma. E proprio per questo, sembra difficile che possa morire. Di fatto, la morte del quotidiano cartaceo sarebbe dovuta avvenire già molto tempo prima, con l’avvento di radio e televisione. E invece, il giornale gode comunque ancora oggi di buona salute.

PRIMA PARTE – La prima parte di questo lavoro sarà incentrata su tre tipi d’analisi: storica, linguistica e sociologica. In primo luogo, parleremo delle strategie di produzione e diffusione del giornale e della sua funzione sociale. Per tale analisi si sono presi in considerazione principalmente i testi Professione giornalista di Alberto Papuzzi, Mediaevo di Mario Morcellini, Multigiornalismi a cura di Mario Morcellini e Geraldina Roberti.
Parleremo poi dei cambiamenti degli stili di distribuzione in Italia, analizzando i nuovi criteri di impaginazione dei giornali cartacei e dei web-giornali, spostando poi la nostra attenzione sui nuovi scenari di fruizione legati anche alle differenze e analogie tra giornali tradizionali e quelli on line. Ci avvarremo di testi quali Teorie delle comunicazioni di massa di Mauro Wolf, Le scienze della comunicazione, Lezioni di comunicazione, Mediaevo e Torri Crollanti di Mario Morcellini, Homo Tecnologicus di Giuseppe Longo, Storia della società dell’informazione di Armand Mattelart.

Proseguiremo poi su una linea d’impostazione incentrata su un’analisi di tipo linguistico, con una premessa sulla “retorica” giornalistica tra vecchi e nuovi media. Cercheremo di capire come sia cambiato il modo di scrivere e quali differenze intercorrano tra lettori di giornali tradizionali e di quelli sul web. Questa analisi si baserà essenzialmente su Retorica antica di Roland Barthes, Le scienze della comunicazione, Lezioni di comunicazione e Torri Crollanti di Mario Morcellini, Storia della società dell’informazione di Armand Mattelart e Cattive notizie di Michele Loporcaro.

SECONDA PARTE – Nella seconda parte non mancheranno interviste realizzate ai direttori di alcune grandi testate webgiornalistiche italiane: Giuseppe Smorto, direttore di Repubblica.it, Diego Antonelli di Gazzetta.it, Marco Pratellesi di Corriere.it, Anna Masera di Lastampa.it, Andrea Riffeser Monti di Quotidiano.net, Boris Bianchieri, presidente della Fieg e Nicki Grauso, presidente del Gruppo editoriale Grauso, il primo in Italia ad approdare in Rete con L’Unione Sarda. Analizzeremo poi i casi di studio, esaminando testate giornalistiche cartacee e on line nazionali e locali. I casi in esame saranno La Repubblica, Il Corriere della Sera e La Gazzetta dello Sport. Parleremo dell’Unione Sarda, primo quotidiano in Italia ad avere un’edizione sul web, e di Affari Italiani, il primo quotidiano on line.

CONCLUSIONI – Per concludere, infine, ci occuperemo dell’evoluzione delle figure professionali, analizzando le nuove competenze dei futuri giornalisti che dovranno cimentarsi, ovviamente, anche con il web.

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michelepilla